CENNI STORICI

Nelle memorie della nostra città di Maiori, sembra che una triste sorte perseguiti le vestigia di un passato non indegno, laddove queste dovrebbero costituire un patrimonio da custodire gelosamente.

Vero è che la prorompente, egemonica vivacità di Amalfi, capoluogo dell’antico Stato, con la sua ricca storia documentata, con i suoi monumenti insigni, ha collocato in ombra le vicende e le manifestazioni storico-artistiche delle altre città del Ducato.

A nostro parere, la proiezione di questa supremazia morale di Amalfi sulle altre città confederate (prolungatasi anche dopo la conquista normanna e la fine dell’indipendenza politica) ha fatto sì che queste popolazioni ponessero nel dimenticatoio tutte le cose da ricordare e lasciassero disperdere i documenti e degradare i monumenti e le testimonianze di un antico splendore a un livello che rasenta la cancellazione totale; e ciò grazie anche all’incuria dei reggitori della cosa pubblica, che hanno imperversato dall’Unità d’Italia in poi.

Sarebbe saggio rammentare che la storia del Ducato di Amalfi non è circoscritta alla storia del capoluogo, ma è intrecciata con quella delle città associate; e fra queste, Maiori non era ultima per importanza, nel campo delle industrie e dei commerci terrestri e marittimi.

Fatta questa non inutile premessa, ci proponiamo di illustrare brevemente le vicende che condussero alla fondazione della chiesa principale, e ai vari rifacimenti e modifiche apportati nei secoli, sino a farle assumere l’aspetto attuale.

Com’è noto, su quella rupe, quasi bastione naturale, posto alle falde del colle Torina, la quale chiude ad occidente lo sbocco della valle del Reghinna, vi era in origine una specie di fortino, costruito subito dopo la fondazione del primo nucleo abitato. Non è il caso di soffermarsi sull’ipotesi del nostro Cerasuoli, il quale sosteneva con convinzione che i fondatori di Reghinna fossero Etruschi.

Ad ogni modo, da chiunque sia stato costruito, sta di fatto che il fortino resse a tutte le ingiurie del tempo e degli uomini, fino all’inverno 838-839, allorquando il famigerato Sicardo, principe longobardo di Benevento e noto predone, condusse una spedizione brigantesca contro i paesi della costa amalfitana e sorrentina; e mentre Sorrento riusciva a resistere, tutte le altre città del versante amalfitano furono espugnate dalle truppe assalitrici che, prima si diedero al saccheggio e quindi smantellarono tutte le opere fortificate. Ma poco dopo, nel luglio 839 Sicardo veniva assassinato a Salerno, e le città della costa tirarono un sospiro di sollievo e si diedero a medicare le ferite ancora sanguinanti. Dal canto loro, i Maioriesi ricostruirono, rafforzarono e ampliarono il fortino trasformandolo un una poderosa rocca munita di torrioni, collegata e integrata da una barriera fortificata che, partendo dal piede della rupe strapiombante, correva parallela alla riva del mare, per saldarsi alle pendici del Brusario (Lazzaro), al versante orientale della vallata. Si chiamò questa barriera il Baluardo si S. Sebastiano, costituito da sei torri circolari collegate da una muraglia, nella quale si aprivano tre porte dal lato della marina, munite di ponti levatoi, e davanti un profondo fossato nel quale, all’occorenza, si convogliavano le acque del Reghinna. La rocca fu intitolata a S. Angelo, da una vetusta chiesetta esistente nei pressi e dedicata all’Arcangelo Michele.Nel XIII secolo, raggiunta una certa stabilità politica con impronta unitaria, ad opera degli Svevi, con conseguente relativa sicurezza dalle aggressioni esterne, si cominciò a demolire parzialmente quell’opera fortificata, al fine principalmente di ampliare la chiesa; l’ampliamento si era reso necessario dopo l’elevazione del tempio a Basilica e la sistemazione in essa della rettoria di S. Maria a Mare. Questa era infatti la nuova dedicazione dopo il fortunoso ritrovamento, nei primi anni del secolo, della statua lignea della Madonna in una balla di cotone, ripescata dal mare di Maiori. Alla demolizione della rocca scamparono il torrione quadrangolare posto allo spigolo sud ovest ed una torre circolare, che ancora si può intravedere nella parte aggettante centrale dell’attuale sagrestia. Nel XIV secolo il torrione predetto venne trasormato in campanile con la sopraelevazione di una struttura ottagonale ottagonale sfinestrata, con bifore e trifore, sormontata da una cuspide conica con in cima una colonnetta marmorea. In seguito vi furono installate ben undici campane tra il 1334 e il 1369.Si badi bene che questo campanile, al pari dell’ingresso principale, venivano a trovarsi in posizione opposta a quella attuale, erano cioè situati dov’è attualmente l’abside e il cancelletto di servizio.

Dopo che con bolla del papa Giulio II del 5 giugno 1505, la chiesa era stata eretta in Collegiata (con uno statuto particolare), nell’anno 1529 fu arricchita con la costruzione del grandioso soffitto a cassettoni, per devozione del patrizio maiorese Erasmo De Ponte e della sua famiglia, lavoro eseguito dall’artista napoletano Alessandro de Fulco, di cui si parlerà in seguito. Successivi rimaneggiamenti e restauri furono eseguiti nel 1662, 1671 e nel 1748.

Infine nel 1832 l’amministrazione del Comune di Maiori ritenne giunto il momento di promuovere un ampliamento e una sistemazione più degna della Collegiata; onde affidò l’incarico al noto architetto napoletano Pietro Valente ( 1790-1859), il quale, peraltro, morì prima della realizzazione dell’opera. Il Valente, resosi conto della impossibilità di un semplice ampliamento, ideò con felice intuizione il capovolgimento totale dell’orientamento della chiesa, e progettò un radicale rifacimento che doveva farle assumere l’imponenete aspetto attuale, con le grandiose navate, l’ampio transetto e gli accessori tutti che le conferiscono un’impronta di magnificenza e di luminosità. Dopo il tempo necessario per le debite approvazioni e controlli del progetto e - sia detto tra noi - con una celerità che oggi parrebbe inconcepibile, il 3 settembre 1835 si diede ufficialmente mano ai lavori preliminari per l’esecuzione dell’opera. La determinazione cronologica dell’iniziodei lavori troverebbe un’apparente smentita in una testimonianza iconografica dovuta al pittore svizzero Friederich Mayer (1792-1870).

In quest’opera, datata Novembre 1835, la Collegiata, ritratta dall’artista viene vista dal lato orientalee risulta non ancora manomessa; in primo piano, dove oggi si trova la facciata e il nuovo campanile, appare un’abside poligonale e varie fabbriche sostenute da archi poggianti sulla roccia.Ma è comprensibile che a distanza di appenda due mesi dall’inizio ufficiale dei lavori, questi non potevano essere così inoltrati da dare l’immagine di un edificio in demolizione; è verosimile chedopo l’inizio “ufficiale” dei lavori, due mesi siano trascorsi per l’allestimento delle attrezzature e l’ammannimento dei materiali da costruzione. Altrimenti dovrebbe trattarsi di una falsa datazione da parte del pittore, fatto che non si adatterebbe alla proverbiale precisione degli svizzeri.

I lavori furono più volte sospesi per l’esaurirsi dei finanziamenti e andavano molto a rilento, anche perché le risorse comunali erano impegnate per il completamento dell’importante opera della copertura del torrente Reghinna. Ed ecco che nell’agosto 1866 i notabili civili e religiosi pensarono di ricorrere ad un finanziamento straordinario, facendo appello all’oblazione dei cittadini singoli e delle corporazioni dei commercianti, delle arti e dei mestieri. E per “accrescere il fervore” degli offerenti fu deciso di traslare l’immagine della Madonna alla nuova tribuna dell’altare maggiore, con una cerimonia solenne celebrata il 5 agosto di quell’anno da mons. D. Antonio de Stefano, vescovo di Beuden, in partibus infidelium, appartenente all’Ordine dei Minori Conventuali, in presenza del Capitolo e del rimanente clero, dal Pretore con la sua corte, dell’intero corpo municipale e con l’intervento di una moltitudine di cittadini e di forestieri. Di questo avvenimento fu redatto simultaneamente un pubblico atto dell’onnipresente Filippo Cerasuoli notaio, il quale lesse il processo verbale a voce alta a tutti gli intervenuti e lo sottopose alla firma delle persone designate.Per gli anni successivi al 1866 non si è potuto finora rinvenire alcuna documentazione relativa alla prosecuzione e al completamento dei lavori. Si spera di ottenere in un futuro prossimo qualche risultato apprezzabile quando si potranno effettuare ricerche accurate presso gli archivi capitolari e comunali, allorché diventeranno accessibili e agibili. Tuttavia un’altra data certa possiamo registrare: è quella impressa a fuoco su di una trave dell’impalcatura di sostegno dell’apparato campanario, e che riportiamo di seguito:

I.D.F.G. 1891 MAS. F. U. D.

Dopo questa escursione storico-cronachistica, e prima di passare ad una descrizione dell’edificio, vogliamo accennare ad imbarazzante documento fotografico, posseduto dal concittadino Antonio Gambardella, dipendente comunale. Si tratta di una fotografia panoramica eseguita dallo studio Savastano, falsamente datata 1900, che rappresenta una veduta del lato occidentale di Maiori, che va dal monastero di S. Maria della Pietà fino alla punta del Castello Miramar e oltre, vista naturalmente dalle alture del lato orientale. Al centro della fotografia risalta in posizione dominante la Collegiata nella quale, forse per uno strano effetto di luce o per imperfezione della stampa, non appare ... il campanile! Ma osservando con maggiore attenzione, si notano due macchie scure sul fondo bianco, la cui posizione corrisponde a quella delle finestre dei primi due piani del campanile attuale. L’unica interpretazione possibile è che, alla data della fotografia, il campanile era in fase di costruzione; e pertanto la foto stessa deve essere sicuramente anteriore al 1891, data della installazione delle campane.